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foto del mese: dicembre 2014

Statua del Nilo

La statua del dio Nilo, in napoletano ‘o cuorpo’ e Napule (II-III secolo d.C.)

Dopo cinquanta anni Napoli «rimette la testa a posto»: è quella della sfinge, appartenente alla scultura del Dio Nilo, la statua simbolo più antica della città detta appunto «Il corpo di Napoli».(da: Il Mattino  15 novembre 2014)
É stata restituita alla città la «testa del corpo di Napoli». La scultura di primo secolo ha subito un importante restauro negli ultimi due mesi, col ripristino definitivo della piccola testa di sfinge marmorea, trafugata oltre cinquant’anni fa e recuperata lo scorso dicembre in Austria dai Carabinieri del nucleo per la tutela del patrimonio, guidato dal capitano Carmine Elefante. (da: Il Mattino  15 novembre 2014).

Nella Napoli greco-romana si stabilirono numerosi egiziani (provenienti da Alessandria d’Egitto); le colonie erano formate da ceti sociali differenti tra loro (viaggiatori, mercanti, schiavi) ed i napoletani non si dimostrarono avversi a questo popolo, anzi, le colonie vennero soprannominate le «nilesi», in onore del vasto fiume egiziano. Gli Alessandrini decisero così di erigere una statua che ricordasse il fiume Nilo, elevato ai ranghi di divinità portatrice di prosperità e ricchezza alla loro terra natia.

Dopo essere caduta in oblio, la statua fu ritrovata acefala verso la metà del XII XII secolo, quando l’edificio del seggio fu costruito nell’area dell’attuale largo, venendo collocata all’angolo esterno dell’edificio. Questa versione è principalmente riferita da Angelo Di Costanzo, il quale scrisse nel 1581 sotto lo pseudonimo di Marco Antonio Terminio l’Apologia di tre illustri Seggi di Napoli, dove sostiene la maggiore nobiltà dei tre seggi (o sedili) di Porto, Portanova e Montagna a scapito dei due seggi di Nilo (definito con la corruzione Nido) e Capuana, che dalla loro avanzavano altrettante pretese di primazia. La versione di Di Costanzo-Terminio è riportata e condivisa anche da Camillo TutiniGiovanni Antonio Summonte e, in epoca assai più recente, da Ludovico de la Ville Sur-Yllon.

Molto probabilmente la statua ripiombò nel oblio e fu di nuovo riscoperta nel XV secoloBartolommeo Capasso ha ipotizzato che fu ritrovata durante i lavori di demolizione che interessarono parte dell’antico edificio del seggio di Nilo (i cui resti secondo Roberto Pane sono riscontrabili nei tre portici inglobati nei muri del palazzo Pignatelli di Toritto) attorno e non prima del 1476, quando le famiglie del seggio, notata la fatiscenza dell’edificio, acquistarono per la nuova sede una parte del monastero di Santa Maria Donnaromita.

A causa dell’assenza della testa, che non permise un’identificazione certa del soggetto, fu interpretata erroneamente come la statua di un personaggio femminile, per via della presenza di alcuni bambini (i putti) che sembrano allattarsi in seno alla madre. L’opera, secondo le cronache antiche (a partire dalla trecentesca Cronaca di Partenope e dalla Descrittione dei luoghi antichi di Napoli del 1549 di Benedetto De Falco), stava a simboleggiare la città madre che allatta i propri figli; da qui nacque il nome cuorpo ‘e Napule (corpo di Napoli), dato anche al largo dove è tuttora ubicata.

Solo nel 1657, quando fu totalmente demolito il vecchio edificio del sedile, la scultura fu adagiata su un basamento e restaurata per iniziativa delle famiglie del seggio dallo scultore Bartolomeo Mori, il quale integrò la statua con la testa di un uomo barbuto, le sostituì il braccio destro e vi apportò la cornucopia, la testa del coccodrillo presso i piedi del dio, la testa della sfinge posta sotto il braccio sinistro e i vari putti; infine sul basamento fu posta un’epigrafe a ricordo, il cui testo, anche se in maniera imprecisa, fu riportato da Tommaso De Rosa nella sua opera del 1702 intitolata Ragguagli storici della origine di Napoli, realizzata con l’ausilio dello zio Ignazio.

Dopo che fu persa la prima epigrafe e la statua fu danneggiata, nel 1734 fu applicata l’epigrafe dettata dal noto erudito Matteo Egizio che tuttora si può leggere, in occasione dei lavori di restauro patrocinati dalle nobili famiglie Dentice e Caracciolo e promossi da varie personalità tra cui l’architetto Ferdinando Sanfelice.

Ulteriori poderosi restauri furono apportati dallo scultore Angelo Viva tra la fine del XVIII secolo e i primi anni del XIX secolo alle parti integrate dal Mori, che a quanto pare dovevano aver subito nel frattempo gli ennesimi pesanti atti vandalici. Lo stesso scultore narra esplicitamente di una statua ormai ridotta a «monco di busto» cui aveva ricostruito ex novo quasi tutte le membra e quasi tutti gli elementi decorativi che la circondavano.

Durante il secondo dopoguerra, due dei tre putti che circondavano in basso la divinità nonché la testa della sfinge che caratterizzava il blocco di marmo furono staccati e rubati, probabilmente per rivenderli al mercato nero. La testa della sfinge verrà ritrovata nel 2013 in Austria, dopo sessant’anni dal furto, dal Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri. Al momento della diffusione della notizia, il comitato per il restauro della statua si era già ricostituito per intraprendere una nuova pulizia del monumento dopo che erano passati vent’anni dall’ultimo intervento, eseguito sempre per iniziativa del comitato nel 1993.

Il restauro, che si è prefisso anche di ricollocare la testa ritrovata, è durato per quasi tutto il 2014 e si è concluso nel mese di novembre. Il 15 novembre 2014 la statua è stata presentata alla città con una solenne inaugurazione. (Da Wikipedia).

Corponapoli

                                                                                                         La statua del dio Nilo

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