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Vincenzo Gemito “Zingara” 1885 (Coll. Banco di Napoli)

Vincenzo Gemito nacque a Napoli il 16 luglio 1852 e, quando aveva appena un giorno, fu deposto nella ruota dello Stabilimento dell’Annunziata. Nel giugno del 1862 fu adottato da una famiglia che aveva di recente perso un bambino. Il padre era un artigiano e il giovane Vincenzo cominciò presto ad assaporare i confini di pittura e scultura.

Di indole irrequieta e prepotente, Gemito trascorse un’adolescenza povera e turbolenta, legandosi di assidua consuetudine con il coetaneo Antonio Mancini, detto Totonno, anche nelle precoci esperienze artistiche. Frequentò gli studi di due scultori: fu ragazzo di bottega di Emanuele Caggiano e, a dodici anni, di Stanislao Lista, promotore dello studio del vero nella scultura.

Con la sua prima opera importante, Il giocatore (1868), oggi al Museo di Capodimonte a Napoli, partecipò alla I Esposizione della Promotrice; negli stessi anni eseguì in creta una serie di bustini e figurette di mendicanti e popolani, proponendosi di fermare con immediatezza le metamorfosi del reale.

Nonostante abbia lavorato in vari studi di artisti di fama a Napoli, Roma e Parigi, è considerato in larga misura autodidatta, e a questo fatto è attribuita la sua capacità di produrre opere tanto originali, capaci di sostituire il sentimentalismo caro alla sua epoca con uno schietto realismo.

 Anche nei ritratti eseguiti nel 1872-73 seppe cogliere, il carattere del personaggio: da Morelli a Verdi, da Mariano Fortuny a Michetti. Quest’ultimo ritratto andò al salone di Parigi del 1878, mentre al salone dell’anno successivo Il Pescatorello, di cui esistono diverse versioni tra le quali quella del museo del Bargello di Firenze, del museo civico di Castel Nuovo e della galleria dell’Accademia di Napoli databile 1935, ottenne un successo straordinario, tanto da indurre Gemito a fermarsi a lavorare per l’Esposizione Universale. Là egli ritrasse i maggiori personaggi del tempo, fra cui il pittore Jean-Louis-Ernest Meissonier.

Tornato a Napoli nel 1880, vi eseguì nel 1885 una copia dal Narciso del Museo Nazionale, prova del suo continuo avvicinamento ai classici, rivissuti come esempi vitali di realismo.

Nel 1887 gli fu commissionata una statua di marmo di Carlo V, eretta all’esterno del Palazzo reale di Napoli. Il marmo era il materiale meno amato da Gemito, e il risultato del lavoro fu, per parere suo ma anche delle critiche, al di sotto delle sue capacità. Gemito soffrì un crollo mentale e si recluse in una stanza di un appartamento, oltre a trascorrere periodi di degenza in ospedale psichiatrico.

Rimanendo recluso, per i successivi 21 anni produsse soltanto disegni, in particolar modo nudi maschili, finché nel 1909 riprese a scolpire. Si diede a frequentare di nuovo i musei, come dimostra la sua accuratissima produzione. Questa sua fase artistica è stata, infatti, tra le più apprezzate dai critici moderni e contemporanei.

Negli ultimi anni, Gemito si diede all’oreficeria in oro e argento, e tali sue opere, intricate e delicate, sono oggi molto ammirate.

Morì a Napoli nel 1929.

Il Museo di Capodimonte ricorda l’artista con una grande mostra dal titolo ‘Vincenzo Gemito, dal salotto Minozzi al Museo di Capodimonte’, organizzata dalla Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico, etnoantropologico e per il Polo museale della città di Napoli e della Reggia di Caserta.
La mostra presenta, per la prima volta, una selezione di circa 90 opere della storica e preziosa raccolta Minozzi, una nuova acquisizione comprata, lo scorso anno, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il Museo di Capodimonte: una raccolta di 372 opere di Vincenzo Gemito composta da disegni, sculture in bronzo, marmo, terracotta. La collezione sarà interamente e stabilmente esposta nelle nuove sale espositive dell’Appartamento reale di Capodimonte, al termine dei lavori di ristrutturazione.

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